Lezioni di leadership da Kamala Harris, la prima vice presidente donna degli Stati Uniti.
Mentre lavoro alla quinta revisione di questo articolo, sono le 22.01 di un mercoledì sera di novembre. Circa 24 ore fa iniziavano a chiudere i primi seggi dell’elezione presidenziale americana.
Joe Biden, è candidato ad essere il 46esimo presidente degli Stati Uniti. Guida con 248 punti contro i 214 di trump, mentre il mondo attende con il fiato sospeso e la speranza che arrivi agli agognati 270 che gli permetteranno di vincere la gara.
Corre con lui, per quella che è forse la poltrona presidenziale più importante al mondo, la sua Vice Presidente Kamala Harris.
La prima donna a ricoprire la carica di procuratrice generale. Prima donna a asioamericana ad essere eletta al Senato.
Prima donna a diventare
Vice Presidente
degli Stati
Uniti
d’America.
Kamala Harris: le origini
La storia di Kamala Harris parte da lontano. E non si può trascurare questo importante passaggio del suo vissuto personale per capire meglio che cosa l’abbia sempre spinta nel corso della sua vita e carriera.
Suo padre nasce in Jamaica nel 1928: dopo essere stato ammesso a Berkeley, si trasferisce in California, dove oggi insegna economia a Stanford.
Sua madre Shyamala nasce invece in India, in una casa in cui l’attivismo politico era pane quotidiano. Sua nonna era solita accogliere in casa le donne vittime di abusi, senza mancare di dirne quattro ai mariti violenti. Il nonno, d’altro canto, faceva parte del movimento per l’indipendenza dell’India.
Grazie ai genitori, la madre di Kamala cresce con un senso di giustizia marchiato nell’anima. E impara che essere al servizio degli altri è ciò che dà alla vita significato e valore.
Quando a 19 anni ottiene la sua laurea a Delhi, la madre di Kamala lascia l’India per un dottorato a Berkeley. Il suo scopo è diventare una ricercatrice per il tumore al seno. Concluso il PhD, in India al suo ritorno l’aspetta un matrimonio organizzato. Lei invece incontra il padre di Kamala e decide di sposarsi giovane e rimanere in America.
I genitori di Kamala la crescono in un clima di attivismo politico pronunciato, portandola alle marce già da quando era nel passeggino. Quando Kamala ha solo ha 7 anni, però, i genitori divorziano. Lei e la sorella Maya vengono cresciute dalla madre, che da quel momento in poi considera la loro crescita e la lotta al tumore al seno gli obiettivi più grandi della sua vita.
Non mancano però le difficoltà. La madre è consapevole di stare crescendo due ragazze nere in un paese ancora razzista. E vuole essere certa che crescano con un atteggiamento battagliero; sicure di sé, consapevoli e orgogliose della propria provenienza.
Insegna loro che “è troppo difficile” non è mai scusa. Che essere una persona per bene significa battersi per qualcosa di più grande di sé. Che il successo è in parte misurato da ciò che aiuti gli altri a raggiungere.
E che l’unico modo per combattere un sistema è farlo in un modo che lo renda più giusto, senza farsi limitare da come le cose sono sempre state.
Crescendo in questo ambiente, Kamala comprende quanto sia importante l’attivismo. Ma anche che dall’altra parte, sulla sedia del potere, ci sia qualcuno disposto ad aprire quando le persone bussano alla porta.
Lei decide di voler essere quella persona.
È da quella scintilla che prende avvio la carriera di quella che diventerà la prima Vice Presidente donna degli Stati Uniti.
Non lasciare che nessuno ti dica chi sei. Sii tu a dire loro chi sei – Shyamala Harris
Cosa imparare: nel bene o nel male, spesso dimentichiamo di guardare alla nostra storia personale e andare indietro nel tempo. Quel tempo in cui spesso possiamo trovare i germogli di chi saremo e diventeremo. Se ripensi alla te stessa bambina e adolescente, quali sono i tratti, i sogni, i talenti, le ambizioni e le piccole-grandi lotte che la tua memoria riporta alla luce?
Gli esordi
Guardando alla soddisfazione che entrambi i genitori e altre donne nella sua vita derivavano dal proprio lavoro, Kamala non ha dubbi sul fatto di volersi costruire una propria carriera.
Tiene molto alla giustizia e vede nella legge lo strumento per rendere le cose più eque. Nel 1990, durante il suo corso di studi, inizia, insieme ad altri stagisti, un tirocinio nell’ufficio del District Attorney della California (noto anche come DA, procuratore distrettuale).
In uno dei suoi primi casi, si trova a che fare con una donna che era finita in un raid di droga, in prigione solamente per essere capitata nel posto sbagliato al momento sbagliato. È un venerdì sera, Kamala pensa al fatto che questa donna, forse una madre, una moglie o una figlia che qualcuno aspetta a casa, passerà un fine settimana in prigione per uno sciocco cavillo. Pensa all’impatto che questo può avere sul suo lavoro, sulla sua famiglia, sulla sua vita.
Cerca e trova il giudice prima che inizi il weekend affinché possa apporre la firma che serve al suo documento di scarcerazione, permettendo così a questa testimone di poter tornare a casa prima del fine settimana.
Anche da stagista, con un livello di impatto e autorità limitati, sente che la responsabilità di quel lavoro è grande, importante, a contatto con qualcosa di profondamente umano. E che in quel lavoro servono persone che ci tengono, persone compassionevoli, che al di là del proprio ruolo non dimentichino mai che di fronte hanno il genitore o il figlio di qualcuno.
Concluso lo stage, viene assunta come vice procuratore distrettuale. Le rimaneva solamente di concludere l’ultimo anno di legge e sostenere l’esame di abilitazione per iniziare la sua carriera in tribunale.
Viene però bocciata all’esame, mentre tutti quelli assunti insieme a lei lo passano. Questo fallimento la fa sentire inadeguata, incompetente, imbarazzata, afflitta. La fa persino dubitare sul fatto che gli altri potessero considerarla una truffatrice.
Nell’ufficio in cui lavora le danno l’opportunità di sostenere di nuovo l’esame il febbraio successivo. Questa seconda volta Kamala Harris passa l’esame e da lì inizia la sua carriera.
Cosa imparare: quando siamo immerse nelle nostre sfide, difficoltà e contrattempi, ci sembra sempre che certe cose capitino sempre a noi e mai agli altri. Dei suoi anni da stagista Kamala Harris ci insegna che il fallimento è solo temporaneo. E che non si è mai troppo junior o troppo poco importanti per avere un impatto su ciò che ci sta a cuore.
Spiccare il volo
Nel 1998, dopo una lunga gavetta di 9 anni, le viene offerta l’opportunità di spostarsi nell’ufficio di San Francisco in veste di assistente procuratrice distrettuale a capo della divisione criminale (con il compito di occuparsi quindi di difficili casi di omicidio, rapina e violenza sessuale).
Kamala è in dubbio. Da un lato si tratta di una promozione che le avrebbe permesso di coordinare altri cinque procuratori. Dall’altro, circolano voci che si tratti di un posto di dubbia reputazione, permeato da una cultura tossica, in cui tutti sono più preoccupati di tenersi il lavoro che interessati all’importanza di quel che fanno. Le voci si confermano realtà.
18 mesi dopo, viene chiamata dal city attorney di San Francisco, Louise Renne, prima donna a ricoprire quel ruolo, per gestire la divisione che si occupava dei servizi per i bambini e le famiglie, patrocinando casi di maltrattamento e abbandono.
Lascia il suo ruolo precedente precisando che la sua decisione si basa sul fatto che l’ufficio era tecnologicamente inetto, disfunzionale e senza traccia di meritocrazia.
Accetta però ad una condizione: non vuole solo lavorare ai singoli casi, ma ad una policy per migliorare il sistema nella sua interezza. In questo ruolo trascorre 2 anni, ed inizia con una task force per studiare i problemi dei giovani che avevano subito molestie sessuali. Il programma ha un chiaro impatto; insieme al suo team creano un centro di riabilitazione e prima accoglienza, chiedono come priorità investigazioni sui centri massaggi utilizzati come luogo di prostituzione e ben 36 di questi vengono chiusi nel giro di poche settimane.
Il suo lavoro ha un significato, le dà potere, ed è la prova che può portare avanti delle policy senza necessariamente essere una legislatrice.
Le infonde anche nuova sicurezza circa il fatto che quando vede un problema, può essere lei quella responsabile di trovarne la soluzione. Che non ha bisogno di aspettare che qualcuno prenda la cosa in carica: perché può essere lei quella persona.
Questa realizzazione le dà la spinta per diventare lei stessa procuratore distrettuale. C’erano tante cose su cui voleva lavorare. Problemi che non solo era importante risolvere, ma che lei poteva risolvere.
Aspettare non era più un’opzione.
Inizia così la sua prima campagna politica. Gira per San Francisco con assi da stiro che usa come tavolini per incontrare gli elettori per strada, all’uscita dei supermercati, alle fermate dei bus. Inarrestabile; con la pioggia o con il sole, guarda centinaia di persone negli occhi chiedendo il loro supporto nelle elezioni.
Cerca di condurre una campagna che sovvertisse lo stereotipo delle donne di colore e decide di insediare gli headquarters della campagna nel quartiere più isolato di San Francisco, lì dove si originavano tanti dei problemi che vuole risolvere col proprio lavoro.
Harris è la meno conosciuta fra i candidati, ma nota per essere “brillante, alacre e qualificata“.
Non esiste un tempo nel futuro in cui lavoreremo alla nostra salvezza. La sfida è nel presente; il momento giusto è sempre ora – James Baldwin
Cosa imparare: possiamo tutte avere un impatto in ciò che facciamo nel momento in cui decidiamo di volerlo avere. C’è un problema da risolvere in ufficio? Non aspettare che sia qualcun altro ad occuparsene. Prendilo in carica e svolgi quel compito al tuo meglio; potrebbe aprire porte ad occasioni si apprendimento e crescita che non avevi considerato.
Kamala Harris: una voce per la giustizia
Nel 2004 Kamala Harris vince con il 56 percento dei voti, diventando il primo District Attorney di colore in California (una carica simile a quella del pubblico ministero in Italia).
Spende tantissimo del proprio tempo lavorando per riformare il sistema di giustizia criminale. Vuole rappresentare chi in genere viene trascurato, vuole usare la propria voce per chi in genere non viene ascoltato, vuole agire sulle cause del crimine, non solo sulle conseguenze. Vuole illuminare un faro sull’ineguaglianza e le inequità che conducono all’ingiustizia.
Da dove partire?
Nella sua to do list include tre tipi di obiettivi: a breve (qualche settimana), medio (un paio d’anni) e lungo termine (“as long as it takes”, qualunque sia il tempo necessario per riuscirci) .
- Obiettivi a breve termine. Decide che non c’è problema che sia troppo piccolo per non essere risolto. Fra le prime cose decide di ritinteggiare le pareti, che non vengono rinfrescate da anni, cosa in cui lei vede una metafora di atrofia e di un mood deprimente. Mood che si trasmette in uno staff demoralizzato, disempowered, non apprezzato. Ritinteggiare era un modo tangibile per dire che si era accorta del problema e che le cose sarebbero cambiate.Invia un questionario chiedendo al team cosa servisse loro per fare meglio il proprio lavoro. Banalmente, scopre che le fotocopiatrici in uso, vecchie e lente, fanno perdere ore e ore di lavoro al team. Ne ordina di nuove immediatamente.Ogni lunedì pomeriggio, istituisce dei team meeting in cui tutti aggiornano gli altri sul proprio lavoro; Kamala applaude alla fine di ogni presentazione. Non per il risultato in sé, ma per la professionalità messa nella performance. Chiede al suo team di comportarsi al di fuori dell’ufficio come all’interno, ricordando loro che la professionalità è rappresentata solo in parte da ciò che avviene all’interno dell’ufficio.Si trattava di piccole e grandi cose che avevano il compito di riportare la professionalità in ufficio al suo grado più alto. Le persone avevano bisogno di trovarsi in un ambiente idoneo per dare il meglio di sé.
- Obiettivi a lungo termine. Per Kamala Harris è lì che risiede il lavoro importante, che si nasconde il quadro più ampio; non del limitato e circoscritto periodo politico che si sta vivendo, ma del più ampio periodo storico. Lei non vuole concentrarsi sui problemi nuovi, ma su quelli grandi e importanti. Su quelli a cui altre persone hanno lavorato per dozzine, centinaia di anni.Quel compito ora è suo. E quello che conta, per lei, è prendere il testimone e correre al meglio quella parte della staffetta. E farlo con un senso d’urgenza feroce. Perché è la giustizia stessa che lo esige. Ricorda quello che le diceva sempre la madre:
“Fai quello che hai di fronte a te e il resto verrà da sé”.
Impegnarsi nella battaglia per i diritti civili e la giustizia sociale non è per i deboli di cuore. È tanto difficile quanto importante, e le vittorie che ottieni possono non essere mai abbastanza dolci quanto possono invece essere amare le sconfitte. Alla fine, però, puoi dire di aver preso parte alla discendenza di chi non ha mai ceduto – Kamala Harris
Il lavoro che Kamala svolge la porta a interfacciarsi ogni giorno con gli squali delle grandi banche e corporations americane. Il suo approccio ai problemi è logico, strategico, attentamente calcolato, ma in fondo anche viscerale.
Per lei si tratta di difendere la giustizia, le persone.
Rende chiaro ai suoi oppositori, che credono di poterla sottomettere, che non sarebbe stata bullizzata. Che non avrebbe retroceduto.
Non ha paura di trasformarsi in uno squalo a sua volta, con mosse strategiche paragonabili ad una partita a scacchi. Al contempo, racconta nella sua autobiografia che per ogni decisione importante prega di aver preso la strada giusta. E per il coraggio di rimanere su quel percorso.
“Le decisioni difficili sono difficili proprio perché non sai quale sarà il risultato. Ma il tuo istinto ti dirà se sei sulla strada giusta. E saprai quale scelta prendere” – Kamala Harris
Quando poi si convince che la strada è quella giusta e vuole portare il suo lavoro a livello nazionale, decide di correre per una carica ancora più ambiziosa.
Cosa imparare: quali sono gli obiettivi a breve, medio e lungo termine che vuoi portare avanti nella tua vita? Quali sono i piccoli problemi che ti rallentano oppure ostacolano nel tuo percorso? Abbi chiara la tua to-do-list e poi inizia ad affrontare punto dopo punto con metodo, pazienza e decisione.
Kamala Harris Senatrice
Un giorno, nel 2014, riceve la proposta di diventare attorney general degli Stati Uniti, sotto la leadership dell’allora presidente Barack Obama.
Nonostante l’ammirazione e l’amicizia con Obama, nonché l’importanza della carica, non è sicura di volere il lavoro. Rimanevano solamente due anni nell’amministrazione Obama; che opportunità avrebbe avuto di creare una vera agenda, delle riforme a livello nazionale?
È durante un’escursione sulle sue colline californiane con un’amica che decide di rifiutare. E comprende anche le ragioni di quel no. La resistenza all’offerta veniva dal fatto che aveva già un lavoro che le piaceva, e un operato che voleva ancora portare a compimento. Non vuole solamente accumulare capitale politico su cui non maturano interessi; vuole spendere quello che ha per ottenere il cambiamento che desidera.
Non avrebbe scelto in base al titolo o la percezione di prestigio; quello che importa è il lavoro. E lei non ha ancora finito quel che deve fare.
A quel punto mancano due anni a novembre 2016, anno di elezioni presidenziali. Ha una decisione da prendere. Si sarebbe candidata come senatore per rimpiazzare la Senatrice Barbara Boxer, che aveva di recente espresso la volontà di lasciare il suo ruolo?
Questo ulteriore salto sarebbe stato la prosecuzione naturale del lavoro che stava già facendo e le avrebbe permesso di portare sul palco nazionale i problemi che stava cercando di risolvere come attorney general in California.
Sa quanto importi quale voce sia rappresentata al tavolo in cui le politiche e priorità nazionali vengono definite. Decide che non può gettare la spugna, o levare la mani in alto quando è invece il momento di rimboccarsi le maniche e lottare per chi si è.
“I say we fight”
Kamala vince le elezioni e diventa la prima donna asioamericana a ricoprire il ruolo di senatrice. La notte della sua elezione è però anche quella della vincinta di Trump e della sconfitta di Hilary Clinton. Non è una notte di festeggiamenti per la campagna appena conclusa, ma di consapevolezza per la battaglia che stava iniziando.
(Una battaglia che si sarebbe conclusa esattamente quattro anni dopo…)
Il 3 gennaio 2017 viene ufficialmente nominata Senatrice dall’allora Vice Presidente Joe Biden, nel suo ultimo mese in carica. Trattenendo le lacrime, inizia così i suoi ringraziamenti per questo importante traguardo:
“Sopra ogni cosa, oggi sorgo con un senso di gratitudine per tutti coloro sulle cui spalle oggi ci issiamo. Per me, inizia con mia made, Shyamala Harris”.
Mentre lavoro alla sesta revisione di questo articolo, sono le 16.51 dell’8 novembre 2020.
Joe Biden è il nuovo presidente eletto degli Stati Uniti.
Kamala Harris, la prima Vice Presidente donna nella storia degli Stati Uniti d’America.
“Mia madre diceva sempre “Puoi essere la prima, ma fai in modo di non essere l’ultima. La mia sfida quotidiana è di essere parte della soluzione, di essere una guerriera gioiosa nella battaglia che arriverà. La mia sfida per te è di unirti a questo sforzo. Di far valere i nostri ideali e i nostri valori. E non gettiamo la spugna quando è il momento di rimboccarci le maniche. Non ora. Non domani. Mai.” – Kamala Harris
Prima, ma non ultima
“La nostra battaglia deve iniziare e finire dicendo la verità. Non c’è antidoto più importante per questi tempi che costruire relazioni di fiducia reciproca. Non possiamo risolvere i nostri problemi più intricati se non siamo onesti su quali questi problemi. Se non siamo disposti ad avere conversazioni difficili e accettare quello che i fatti rendono evidente. Dobbiamo dire la verità. Fra molti anni, i nostri figli e nipoti ci guarderanno negli occhi e ci chiederanno dove eravamo quando la posta in gioco era così alta. Ci chiederanno come erano le cose. Io non voglio solamente dire loro come ci siamo sentiti. Voglio dire loro che cosa abbiamo fatto”.
A Kamala Harris, prima Vice Presidente donna degli Stati Uniti d’America. A tutto quello che farà nei prossimi quattro anni e quelli a seguire.
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Alessia dice
Grazie. Complimenti, I tuoi contributi sono sempre interessanti e ispiranti. Questo pezzo su Kamala Harris mi ha permesso di conoscere aspetti della storia di questa Donna che mi auguro farà la storia di tutto il mondo,facendomi anche riflettere sulla mia storia personale e sul mio futuro.
Arli dice
Ciao Alessia, ma che bello che ti abbia offerto spunti anche per riflettere sulla tua storia personale e quello che verrà. Mi fa davvero piacere e grazie di averlo condiviso. Arli.
Arianna Palmieri dice
Questo articolo è meravigliosamente d’ispirazione, ben scritto e assolutamente da condividere!
Complimenti!!!
Arli dice
Grazie tante Arianna, lo apprezzo molto. Arli.